Mitilicoltura ieri e oggi

 

 

 

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La raccolta dei molluschi si inserisce, con la pesca, tra le più  antiche attività umane, quale fornitrice di proteine di origine animale; l'evoluzione degli impianti fissi in Italia, si perde tra storia e leggenda.

I primi reperti paleontologici, che consentono di ipotizzare una coltura primitiva, si sono rinvenuti nelle cavità  naturali del Carso triestino. Si sono trovati resti di pasti, punte per usi diversi e raschiatoi fatti con mitili raccolti nel vicino Golfo di Trieste.

La leggenda narra invece che popolazioni locali dedite alla pesca avevano osservato che i tronchi secchi e gli arbusti portati dai fiumi si arenavano in prossimità della foce. In quella selva di arbusti venivano a formarsi grossi grappoli di mitili che successivamente erano raccolti in tutte le stagioni per essere commercializzati con i popoli dell'entroterra.  

Le prime esperienze storicamente accertate si fanno risalire al 1236 quando la nave dell'irlandese Patrick Walton naufragò sugli scogli di Aiguillon, in Francia. Per sopravvivere costruì delle reti, che servivano per catturare gli uccelli, sistemate su pali infissi sul terreno melmoso. Dopo poco tempo si accorse che la parte sommersa dei pali era piena di piccoli mitili che, se tenuti in sospensione, acquistavano un sapore migliore e raggiungevano maggiori dimensioni. L'irlandese si dedicò quindi alla mitilicoltura utilizzando il sistema delle colture bouchot.

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Tutti gli attuali allevamenti in sospensione si sono sviluppati dal sistema tarantino che prevedeva l'innesto di grappoli di piccoli mitili su corde di fibra vegetali, i libani, ricavate intrecciando le foglie giunchiformi del Lygeum spartum (Spartina), simili a quella della Spartina stricta presente nella laguna di Venezia. La limitata resistenza di queste corde portava spesso a perdite del prodotto, per cui gli allevatori erano costretti a laboriose operazioni di pulizia e manutenzione per evitare l' appesantimento delle corde. Con l'introduzione di nuovi materiali si è avuta la sostituzione delle corde in fibra vegetale con rete circolare in plastica più resistente. Per la pulizia dei mitili i pergolari, una volta levati dall' acqua, vengono appesi su stenditoi, chiamati fasolo, lasciati al sole per un paio di giorni.  

L'allevamento dei mitili costituisce la più diffusa attività di maricoltura in Italia in quanto presenta un'elevata resa a fronte di ridotti capitali di avviamento, limitato numero di addetti, nessun costo per l'alimentazione e nessuna spesa in termini di energie alimentari.

Infatti i Mitili, essendo organismi filtratori, si nutrono direttamente di fitoplancton e sono perciò dei consumatori di I ordine; l'alimentazione e l'accrescimento dipendono quindi dagli elementi in sospensione presenti nelle zone marine in cui questi sono coltivati.  

L'uomo, con apposite semine, massimizza la produzione e con il suo intervento rende costante la produzione.  

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In Italia la mitilicoltura ha avuto fino a pochi anni fa una localizzazione esclusivamente legata alle laguna, alle zone deltizie e a tratti di mare non eccessivamente aperti. Dal 1986 si sono realizzate delle strutture in mare aperto, non più sperimentali, al largo di Rimini e di Bellaria e da alcuni anni anche al largo delle coste del Veneto in prossimità della foce dell' Adige e del Porto di Piave Vecchia.

La mitilicoltura in mare, cioè in zone sottoposte a correnti marine elevate poco protette è difficoltosa e richiede una continua evoluzione degli impianti, sia nella scelta dei materiali, sia nelle dimensioni delle ventie, sia nelle tecniche di lavorazione, sia nella tipologia delle imbarcazioni diverse da quelle che si usano per gli allevamenti in laguna.